HO CORSO UN’ALTRA MARATONA. MA PERCHE’?
ZIBALDONE - di Gianni Roveda (Runners Tordino)
Spesso leggo di imprese eroiche e racconti epici riguardanti atleti che corrono e terminano una maratona. Leggendo i resoconti sembra che poche imprese siano così epiche e sfidanti: quasi come le sette fatiche di Ercole, la campagna di Russia o una domenica pomeriggio all’IKEA con la fidanzata.
Ho provato a pensarci a partire dalla mia esperienza.
La prima domenica di Aprile decido di correre la maratona di Milano. Non perché mi piaccia particolarmente la location (sebbene io sia di origini milanesi) né per qualche motivazione particolare: solo perché la settimana successiva ero già a Milano per partecipare al Salone del Mobile ed era il periodo giusto per fare una maratona.
Organizzazione impeccabile, tante iniziative collaterali, percorso facile, giornata fresca e temperatura perfetta hanno fatto si che l’evento fosse un autentico successo. Concludo la maratona in tre ore e cinquanta minuti, soddisfatto, stanco, e con un dignitoso “negative split” dettato non da qualche strategia di gara ma dal fatto che al trentesimo km desideravo far finire la sofferenza il prima possibile.
E niente, alla fine per circa 40 km passo il tempo a chiedermi per quale remoto motivo decido di sottoporre il mio corpo ad uno stress prolungato costringendolo a quasi 4 ore di corsa, oltretutto pagando per farlo. Credo che le motivazioni “nobili” alla fine siano solo una scusa. Ho provato a pensarci senza troppe illusioni
“Lo faccio per stare bene”. La verità è che correre per 4 ore di fila e per 40 km non fa bene. Fa male. Alla fine fa male tutto, sei stanco da morire, hai le visioni della madonna di Czestochowa, bestemmi in lingue morte per gli ultimi chilometri e giuri che non lo rifarai. Per “stare bene” basterebbe quello che i medici scrivono sulle confezioni degli integratori: una “regolare attività fisica”.
“E’ una sfida con me stesso”. Va bene, la prima volta. Ma poi? Alla quarta, quinta, decima maratona credo che più che sfidare te stesso voglia vedere se riesci a non collassare prima.
“Mi piace”. No dai, non scherziamo. O siamo una massa di sadomasochisti o NON può piacere sottoporsi ad una preparazione plurisettimanale da 300 km al mese per prepararsi a soffrire per 42 km. Piace trombare. Piace un panorama. Piace mangiare e bere. Piace il relax, la meditazione, dormire, la grigliata… la Maratona NON può “piacere”.
“Le endorfine”. Bene. Quando ero giovane le “endorfine” le prendevo dalla cannabis, poi, crescendo, dalla maratona che così è più etico e socialmente accettabile. Ci può stare. Però alla fine basterebbe un’ora intensa di attività o farsi le canne di nascosto!
E allora?
Personalmente dopo la pima maratona ho trovato una motivazione molto poco nobile: la birra. La birra dopo la gara ha tutto un altro sapore. Oltre a berla senza complessi di colpa, reidrata meravigliosamente bene. Ed abbinato alle endorfine della maratona è quasi meglio del sesso!
Ma non basta, altrimenti sembra una cosa da malati di mente (non che correre una maratona sia normale).
Allora ho riflettuto su una cosa. Facebook da uno spaccata incredibilmente senza filtri del modo comune di pensare ed allora ho fatto un esperimento.
Qualche settimana fa ho pubblicato una foto (spiegandola) in cui parlavo ad un convegno molto prestigioso di architettura, brand e design davanti ad un pubblico estremamente qualificato insieme a manager di alcune fra le aziende più prestigiose del mondo e davanti alle reti nazionali. Un autentico traguardo professionale, la dimostrazione di aver raggiunto una competenza ed un prestigio di tutto riguardo, risultato di una intera carriera professionale pluridecennale. Risultato: qualche like (principalmente da familiari e colleghi), un paio di dimostrazioni di apprezzamento. Stop.
Poi ho pubblicato la mia foto alla fine della maratona di Milano, ciò che considero (ed è) un hobby, quindi alla fine, un passatempo. Risultato: centoventi like, dimostrazioni di apprezzamento epiche (”grandissimo”, “tanta stima”, “eccezionale” etc…), ed anche qualche condivisione.
Cosa mi fa capire questo? Al di là del confermare quanto siano effimeri spesso i social media, mi fa pensare che in realtà il mondo ha bisogno di persone “speciali” e che ognuno di noi ha bisogno di sentirsi “speciale”. Non tutti capiscono un traguardo professionale ma la maratona si, la capiscono tutti. Tutti capiscono che correre per 42 km richiede dedizione, passione, costanza, volontà e un carattere forte. E’ la dimostrazione della propria caparbietà e della capacità di “non mollare mai”.
Ecco io credo che la maratona aiuti a far capire quanto il mondo abbia bisogno di persone speciali e quanto ognuno di noi lo sia o possa diventarlo. E’ un simbolo ed una metafora della vita. La maratona prescinde dalla competizione e spesso dalla classifica per noi amatori, molto più di altre “gare”. E’ una gara estrema, e vengono abbattute molte delle devianze che caratterizzano le competizioni ed i criterium: agonismo, piazzamento, rivalità. Nessun podio di categoria, nessun prosciutto da portare a casa, nessun campionato o punteggio. Si corre e basta. Al massimo si vuole migliorare la propria prestazione.
E la maggior parte dei partecipanti vuole in fondo solo dire “ce l’ho fatta”, così come in ogni ambito della vita, alla fine, vogliamo guardarci allo specchio e, nonostante tutte le prove a cui ci sottopone la vita, dire a noi stessi che, nonostante tutto, possiamo farcela.
Ed ognuno di noi, può diventare in qualsiasi momento l’eroe di se stesso.
Gianni Roveda